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Israele contro il mondo

GIL COHEN MAGEN/AFP/Getty Images

Israele contro il mondo

I giudei sono da soli e hanno di fronte un futuro senza prospettive. La prossima mossa da parte degli arabi e la risposta di Israele, avranno effetti su tutti noi.

La nazione d’Israele è abituata ad un arduo contrasto. Dal momento in cui è nata nel 1948, ha dovuto graffiare, lottare e battersi per la sopravvivenza.

È circondata dalla gente araba ostile che ha ripetutamente cercato di calpestarla. Ha affrontato censure continue delle Nazioni Unite – un’organizzazione strapiena di dittature e dispotismo del terzo mondo, di arabi e di musulmani. Si è difesa da sola dal terrorismo persino mentre l’opinione internazionale l’ha
condannata per farlo.

Il variopinto mondo fatto di un harem di nazioni non si trova mai d’accordo su molto. Ma se una singola questione produce qualcosa simile al consenso, si tratta dell’irrazionale ostilità verso lo stato giudaico.

Un sondaggio della bbc dello scorso giugno ha trovato che la percezione globale di Israele si classifica come la peggiore nel mondo insieme alla Corea del Nord, al Pakistan e all’Iran. In un sondaggio Gallup multinazionale nel 2014, questa piccola democrazia del Medio Oriente è legata a Teheran e a Pyongyang – una teocrazia islamista che conduce il mondo nella sponsorizzazione del terrorismo, ed uno stato totalitario omicida con armi nucleari – come la più grande minaccia alla pace mondiale.

I giudei sono abituati a questo. Loro trascurano la retorica senza fine degli imam e dei mullah che chiedono il loro sterminio. Sono abituati alla crescente evidenza dell’antisemitismo in ascesa in Europa e altrove. Hanno imparato a non prendere personalmente questa simpatia verso gli islamisti che non si riesce a spiegare, esibita dai liberali dell’occidente e dagli accademici.

Ma nei mesi recenti, l’isolamento di Israele è cresciuto in modo più acuto. Le minacce alla sua sopravvivenza sono ora più pericolose.

Le poche alleanze d’Israele sulla sicurezza si stanno fratturando. La Turchia si sta voltando radicalmente all’Islam. L’accordo egiziano di trentacinque anni di pace con Israele è minacciato dall’instabilità politica. Le relazioni tese con l’amministrazione Obama stanno persino peggiorando. Il trattato di pace con la Giordania, che assicura il confine orientale d’Israele, adesso sembra essere al limite.

Nel frattempo, Gerusalemme si è inabissata nella peggiore violenza dell’ultimo decennio. Il più grande incubo dei giudei – un Iran con armi nucleari – non è mai stato più vicino a diventare realtà.

La posizione di Israele sta diventando disperata. Ciò che succederà in seguito in questa regione esplosiva ha delle implicazioni a livello mondiale.

Una nuova intifada

«C’è un senso di caduta libera a Gerusalemme, di eventi che si trascinano fuori controllo,» ha scritto David Brinn nel Jerusalem Post. «Chiunque fosse vissuto qui durante la prima e la seconda intifada riconoscerà lo stesso spirito agitato e nervoso per le strade. Era considerato malsicuro salire a bordo di un autobus; ora è pericoloso aspettare alla fermata dell’autobus o alla stazione del treno. I pedestri guardano sospettosamente con la coda dell’occhio mentre camminano per strada» (5 novembre 2014).

Tutto è iniziato l’estate scorsa, sotto una pioggia di razzi sulle città israeliane lanciati dalla Striscia di Gaza dal gruppo terroristico di Hamas. Poi gli Hamas hanno rapito e ucciso tre adolescenti israeliani nella Cisgiordania. Quando Israele ha risposto con l’arresto di centinaia di palestinesi, gli attacchi con i razzi sono aumentati. Alla fine Israele ha iniziato a bombardare Gaza. Ha mandato le truppe per distruggere i tunnel che Hammas aveva scavato nel territorio israeliano.

La maggior parte dei cittadini giudei d’Israele ha inteso l’Operation Protective Edge come una guerra giusta. Era eseguita con cura e precisione, diretta a limitare il più possibile le vittime fra i civili. Ma quel fine è stato reso molto più difficile dagli sforzi di Hamas nel massimizzare le vittime palestinesi allo scopo di suscitare l’indignazione mondiale contro Israele.

Proprio come Hamas aveva previsto, molte persone nella Cisgiordania incolparono i giudei per la scalata della guerra di Gaza. La già povera reputazione di Israele a livello internazionale dunque è stata ulteriormente infangata. Quell’estate in un sondaggio è stato chiesto ai giudei d’Israele: «Che cosa pensa riguardo al famoso detto “tutto il mondo è contro di noi”?» Quasi due terzi hanno risposto, ciò riassume abbastanza bene la nostra vita.

Dal momento della guerra, i musulmani e gli arabi in carica hanno incitato la loro gente, inclusi gli arabi israeliani, ad insorgere in violenza. Ciò che ne è derivato ha un aspetto particolarmente terrificante. Il New York Times l’ha chiamato «un nuovo tipo di lotta armata, un’insorgenza senza guida dalle esplosioni sporadiche.» I giudei d’Israele sono stati presi di mira da migliaia di attacchi fortuiti, attacchi violenti con rocce gettate, cocktails di bombe molotov, armi da fuoco, accoltellamenti, sparatorie e persino veicoli sbattendo contro gruppi di pedestri.

L’escalation

Poi, il 29 ottobre, un bandito armato palestinese ha sparato a Yehuda Glick, un’attivista israeliano che faceva campagna propagandistica per i diritti dei giudei a pregare nella moschea al-Aqsa. Il giorno successivo, la polizia israeliana ha ucciso il tiratore, poi ha chiuso completamente il monte del tempio. Essi sono entrati nella moschea al-Aqsa con lo scopo di mettersi sulla pista dei rivoltosi. Dentro hanno trovato un deposito di pietre, bottiglie e i cocktail già pronti per le bombe molotov – la prova che questo «posto di venerazione» è un’incubatrice di violenza basata sulla fede.

Benché questa intrusione si sia dimostrata giustificata ha reso furiosi i palestinesi. Un portavoce del capo Mahmoud Abbas l’ha chiamata «una dichiarazione di guerra contro il popolo palestinese, contro i suoi luoghi sacri e contro la nazione araba ed islamica.» Abbas stesso ha dichiarato: «Noi non permetteremo che i nostri luoghi sacri siano contaminati» – intendendo «contaminati» dai giudei.

Altri capi musulmani hanno alzato la bandiera di rimostranza contro Israele. Il primo ministro turco Ahmet Davutoglu, per esempio, ha chiamato la presenza di Israele sul monte del tempio «una crudeltà fino al nocciolo.»

Fra le nazioni che esprimevano indignazione c’era la Giordania. Questo è uno degli stati arabi sul quale Israele ha potuto contare sull’amicizia. Il trattato di pace, firmato nel 1994, ha grandemente contribuito alla sicurezza di Israele. L’area che circonda il monte del tempio è amministrata da un’organizzazione giordana; la tutela del sito è esistita da decenni ed è stata codificata nel trattato del 1994.

Dopo l’incidente di al-Aqsa, il Ministro degli esteri giordano dichiarava con insistenza: «Queste violazioni stanno infuriando i sentimenti e la sensibilità di 1,5 bilioni di musulmani in tutto il mondo.» La Giordania ha richiamato il suo ambasciatore da Tel Aviv. Alcuni giorni dopo, il re Abdullah ha cancellato la partecipazione del suo paese alla cerimonia che marcava il 20° anniversario del trattato con Israele. Amman ha avvertito che avrebbe rivalutato i suoi legami diplomatici e persino l’accordo di pace stesso.

I sommi capi di Amman potrebbero ancora comprendere il valore della loro relazione con Israele; loro hanno bisogno di Israele nell’amministrazione dei palestinesi e nel sopprimere i tumulti arabi che si potrebbero riversare sulla Giordania. Ma la linea dura ufficiale rivela che il governo vede il bisogno di placare la sua grande popolazione palestinese e molti altri giordani che provano avversione verso i giudei.

Gli ansiosi capi israeliani hanno risposto ritirandosi dal monte del tempio e riassicurando Amman che il suo ruolo sul posto non cambierà. L’ultima cosa di cui Israele ha bisogno è la perdita di un’altra preziosa alleanza.

La fratellanza viene rotta

Israele si trova di fronte ad un pericolo che forse è meglio descritto nella straordinaria situazione che si è sviluppata con l’America e con Iran.

Israele considera la Repubblica Islamica di Iran come la più grave minaccia. Lo stato islamico barbarico ha rubato i titoli di testa nel Medio Oriente, ma il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha provato a focalizzare l’attenzione del mondo sulla minaccia molto più pericolosa che rappresenta l’Iran – uno stato potente, governato da una ideologia radicale, attivamente desideroso di egemonie regionali, sulla cuspide della capacità nucleare e ancora legittimato da molte nazioni, tra cui giganti come la Russia, la Cina e l’India.

Mentre il signor Netanyahu faceva questi avvertimenti, l’amministrazione Obama ha ripetutamente continuato a difendere il regime islamico. Ha legittimato i radicali al potere e ignorato la moderata opposizione popolare. Ha continuato le negoziazioni nonostante gli inganni di Iran. Ha attenuato le misure punitive contro Teheran. Ha mostrato una credulità infantile e uno sconcertante entusiasmo di fare accordi a qualsiasi costo.

Oh, se Washington avesse trattato così favorevolmente lo stato giudaico... Verso Israele è stato esigente, insistente, sgarbato, offensivo e persino profano. Il signor Netanyahu ha fatto numerose concessioni per accogliere le richieste del presidente Barack Obama – il bloccaggio del piano d’insediamento, il rilascio di prigionieri, i tentativi di trattative, restrizioni militari, persino l’accettare di riconoscere uno stato palestinese. Ma ha solamente ricevuto più schiaffi in faccia. Questa nazione che è stata il più prezioso alleato di Israele – il più forte sostenitore e garante della sua sicurezza – adesso è pubblicamente ostile.

A ottobre, gli ufficiali dell’amministrazione statunitense hanno trattato pubblicamente con disprezzo il Ministro della difesa israeliano durante la sua visita a Washington. Subito dopo un ufficiale superiore parlando al prominente giornalista Jeffrey Goldberg dell’Atlantic sulla visita, si è rivolto al Primo Ministro israeliano con un volgare epiteto che significa mancanza di coraggio o mascolinità. «La cosa buona di Netanyahu è che lui ha paura di fare la guerra», spiegava l’ufficiale. Un secondo ufficiale ha detto a Goldberg che la Casa Bianca pensa che il signor Netanyahu stia bleffando sul fatto degli attacchi preventivi agli impianti nucleari dell’Iran, e l’ha chiamato «un codardo.»

Questi commenti riassumono drammaticamente la realtà del tradimento americano. In primo luogo ed in modo ovvio, essi rappresentano il rancore aperto che ora caratterizza la relazione fra i governi dell’America e d’Israele. «Il crollo del cameratismo,» David Horovitz lo definiva così sul Times of Israel. Questo linguaggio rispecchia esattamente la profezia del tempo della fine di Zaccaria 11:14 che descrive una «rottura della fratellanza» fra queste due popoli. (Lo stato odierno d’Israele è il biblico «Giuda» – Giudeo deriva da Giuda; gli Stati Uniti discendono dall’antico Israele e vengono chiamati Israele nella profezia biblica.)

Oltre a questo, tali commenti rafforzano l’influenza dell’Iran nella sua ricerca delle armi nucleari. Un’evidenza credibile che il signor Netanyahu sta bleffando renderà nulla una parte importante nelle negoziazioni di coloro che cercano di contrastare un’arma nucleare iraniana, mentre simultaneamente incoraggia Teheran. Così i commenti si allineano con tante altre azioni della Casa Bianca, che effettivamente è contraria a Israele e interviene in favore di Iran.

Ancora una volta Israele rimane più isolato e vulnerabile.

Quale sarà il prossimo alleato di Israele?

Nel suo breve periodo di vita, l’attuale stato di Israele ha trovato alleati con risultati molto contrastanti. In un primo momento si è rivolto in gran parte verso una superpotenza poco conosciuta: Dio. Così ha vinto delle vittorie miracolose una dopo l’altra: 1948, 1967, 1973. Ma poi ha iniziato a voltarsi verso altri alleati, trattati e negoziazioni di «pace». Quando l’ha fatto, le vittorie miracolose cessarono e i problemi iniziarono a moltiplicarsi.

Ora che i suoi amici stanno staccandosi e il suo isolamento sta crescendo, Israele ha un desiderio ardente di trovare un nuovo alleato. In molti modi, sta esibendo una forte speranza di averne trovato uno: l’Europa. Tuttavia un’osservazione perspicace rivela che si tratta di una speranza falsa, persino pericolosamente ingenua.

L’evidenza più recente è arrivata nel mese di novembre, quando l’italiana Federica Mogherini è diventata il nuovo alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Come sua prima mossa in ufficio, lei ha visitato Israele. Questo ha mostrato la priorità che si aspetta di dare alle relazioni israelo-palestinesi.

È questa l’alleanza che Israele spera di avere? Proprio prima che lei atterrasse, Mogherini ha annunciato il suo scopo principale al quotidiano francese Le Monde: «Quello che mi renderebbe felice sarebbe se lo stato palestinese esistesse alla fine del mio incarico.» Poi, mentre era in visita alla città cisgiordana di Ramallah, lei ha detto che Gerusalemme a bisogno di essere divisa. «Io penso che Gerusalemme può essere e dovrebbe essere la capitale di due stati» ha spiegato.

Per quanto possano essere scoraggianti per Israele, queste affermazioni riflettono un consenso assoluto in Europa. Poco prima del viaggio della Mongherini, la Svezia è divenuta la prima nazione importante a riconoscere unilateralmente uno stato sovrano palestinese, essendo improbabile che sia l’ultima. «Noi non aspetteremo per sempre» per riconoscere uno stato palestinese. «Altri paesi europei sono pronti a seguire la Svezia» (Wall Street Journal, 7 novembre 2014). La Francia e la Gran Bretagna hanno già introdotto una legislazione verso il riconoscimento di tale stato, senza badare alle condizioni preliminari di Israele.

Questo è il meglio che Israele è riuscito a ottenere: un potenziale «alleato» il quale ha una storia macchiata di guerra mondiale e di olocausto che come prima cosa, vuole cominciare con la divisione della sua capitale in due.

Eppure in modo notevole, le profezie della Bibbia predicono che i giudei, nel momento di estremo bisogno, si volgeranno tuttavia all’Europa per chiedere aiuto! La più esplicita di queste profezie si trova in Osea 5:13 ed è spiegata interamente nell’opuscolo Jerusalem in Prophecy (Gerusalemme in profezia, disponibile in inglese e in altre lingue) di Gerald Flurry, direttore della Tromba.

Prima che questo accada, gli eventi saranno ancora meno vantaggiosi per Israele. Zaccaria 14:2 descrive un tempo che fra poco si compirà, quando la metà di Gerusalemme sarà saccheggiata. Questo si adempirà per una intensificazione dello stesso tipo di violenza che sta inabissando la città oggi! Così come spiega Jerusalem in Prophecy, quella crisi darà inizio ad una catastrofica catena di eventi. La guerra innescata inghiottirà non solo Israele e i palestinesi, ma anche l’Iran, l’Europa, l’America – e il mondo intero! Questo predice la Bibbia.

Ciononostante, guardate più da vicino alla profezia di Zaccaria. Nello stesso contesto di quella eruzione di violenza a Gerusalemme, si descrive l’evento più impressionante che possa accadere nella storia: la Seconda Venuta di Gesù Cristo! (versetto 4). Persino la prima metà del versetto 2 descrive una battaglia culminante che occorrerà al ritorno di Cristo. «Considerate questo: Il Giorno del Signore e la disputa su una metà di Gerusalemme sono presentati nello stesso contesto» ha scritto il signor Flurry. «Questo è il motivo per cui quando metà di Gerusalemme va in cattività, quella crisi fa scattare una serie di eventi che porteranno al ritorno di Gesù Cristo! ... In altre parole, l’attuale disputa su Gerusalemme dell’Est è un segno forte che il Giorno del Signore è quasi arrivato! Noi dobbiamo svegliarci!»

Osservate come la tensione comincia a lacerare Gerusalemme. Fate il paragone delle notizie con la cronologia degli eventi profetici descritti in Zaccaria e altrove. Osservate Gerusalemme! Gli eventi attuali stanno seguendo quello schema e stanno rapidamente crescendo verso un adempimento delle profezie della Bibbia, su ciò che accadrà a Gerusalemme al tempo della fine! Osservate – e riconoscete l’imminenza del ritorno di Gesù Cristo.