(ALAIN JOCARD/AFP/Getty Images)
Il vertice sul clima non riguardava il clima
Nel 2015 quando il presidente degli Stati Uniti Barack Obama è arrivato alla Conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite tenuta a Parigi, nel suo primo discorso si è scusato con il mondo per la partecipazione dell’America nel causare il riscaldamento globale. Egli ha dichiarato la sua presenza «come capo della più grande economia del mondo e come il secondo più grande emettitore gli usa non solo riconoscono il proprio ruolo nel creare questo problema, ma abbracciano anche la responsabilità di fare qualcosa al riguardo.»
Due settimane più tardi, portando un documento sul clima di 32 pagine, il Presidente ha chiamato il vertice un «punto di svolta» per il mondo e un momento cruciale per la sua amministrazione. «Il popolo americano può esserne fiero» ha detto il presidente Obama. «Poiché questo storico accordo è un omaggio alla leadership americana. Negli ultimi sette anni, noi abbiamo trasformato gli Stati Uniti in leader mondiale nella lotta al cambiamento climatico.»
Questo accordo sul cambiamento climatico, in definitiva, può essere molto «trasformazionale», come ha detto il Presidente, ma purtroppo, non nel modo che la maggior parte de la gente pensa.
Qual è stato l’accordo?
L’obiettivo dell’accordo prevede il mantenimento della temperatura media globale al di sotto di 2° C sopra i livelli preindustriali e, dunque, di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C sopra i livelli preindustriali. A tale scopo, i Paesi partecipanti hanno concordato di «raggiungere un picco globale delle emissioni di gas effetto serra il più presto possibile.» I Paesi devono monitorare e riportare il livello di emissione di gas serra servendosi di un sistema mondiale standardizzato. Essi, dunque, dovranno presentare un piano di azione per ridurre la loro parte nell’inquinamento ambientale, causato dalla produzione di gas a effetto serra. Inoltre, le nazioni si riuniranno ogni cinque anni allo scopo di informare sul loro progresso. Hanno deciso di creare un comitato di sorveglianza globale per verificare i rapporti. Le nazioni ricche si sono proposte di fornire almeno 100 miliardi all’anno per fare fronte al problema.
«[N]on sbagliate, l’accordo di Parigi stabilisce la base che il mondo ha bisogno per risolvere la crisi del cambiamento climatico,» ha detto il presidente Obama.
Ma qui c’è un grosso problema, vale a dire, l’assumere che una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra riuscirà a stabilizzare il clima mondiale. Il problema consiste nel fatto che sebbene nazioni come gli Stati Uniti e le nazioni europee possano essere impegnate in questa riduzione dell’emissione di anidride carbonica, una grande parte del mondo non è tanto interessata e non esiste nessun meccanismo d’imposizione.
Questo accordo tanto annunciato non è in alcun modo giuridicamente vincolante, fatta eccezione per l’unanimità delle nazioni nell’accettare di riportare la propria emissione di gas serra. Le nazioni hanno la facoltà di presentare qualsiasi piano esse vogliano attuare per ridurre tali emissioni. L’abbassamento dunque può essere ridicolamente basso, com’è stato il caso per il piano della Russia, oppure come il piano presentato dall’India, il quale fondamentalmente equivale all’aumento delle emissioni per il prossimo futuro.
L’India ha dichiarato apertamente che non cambierà i suoi piani per raddoppiare l’utilizzo di carbone entro il 2020. L’India occupa il terzo posto nella lista di emettitori di gas serra. L’Arabia Saudita, Nigeria e il resto delle nazioni esportatrici di petrolio dimostrano poco interesse per la limitazione del combustibile fossile. D’altronde, la Cina, ora sembra di aver invertito la sua posizione sulla riduzione di gas serra (questo potrebbe fare parte del prezzo che essa ha accettato di pagare per avere la sua moneta nel paniere di valute internazionali del fmi), tuttavia solo poche persone credono veramente alla loro serietà nel fare tagli rilevanti.
Ecco la parte più assurda: le nazioni in via di sviluppo come Cina e India, sono autorizzate a rivedere i propri obiettivi man mano procedono in avanti. Infatti, ogni nazione può farlo.
Allora sorge la domanda: Che cosa è stata compiuta con un accordo tanto assurdo?
Contrariamente alla credenza popolare, fermare «il riscaldamento globale prodotto dall’uomo» è solo un aspetto dei colloqui.
Il presidente Obama, per esempio, ha detto che firmare un accordo sul clima per ridurre le emissioni di carbonio è stato il modo migliore per combattere il terrorismo dello Stato Islamico in Siria e in Iraq. Ha dichiarato che sarebbe stato un «atto di sfida» al terrorismo.
I colloqui però non riguardavano nemmeno il tema di porre fine al terrorismo. Il dialogo non aveva nulla a che fare con salvare gli orsi polari, o evitare la scomparsa delle piccole isole del Pacifico. Le conversazioni erano intese ad altro: soldi, potere e per la maggior parte concernenti a innescare una rivoluzione.
La rivoluzione del sistema
A febbraio, il segretario della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Christiana Figueres, ha rivelato la vera motivazione dietro le trattative sul clima tenute a Parigi. «Questa è la prima volta nella storia dell’umanità in cui noi stessi stiamo creando il compito di intenzionalmente, entro un periodo definito, cambiare il modello di sviluppo economico che è in vigore da almeno 150 anni, dalla rivoluzione industriale,» ha riferito. «Si tratta probabilmente del compito più difficile che abbiamo mai assunto, quello di trasformare in modo premeditato il modello di sviluppo economico, per la prima volta nella storia dell’uomo» (accentuazione aggiunta).
Il vertice di Parigi sui cambiamenti climatici ha avuto l’obiettivo di rivoluzionare il sistema economico del mondo. Di quale sistema si tratta? Del capitalismo.
Il primo giorno dei colloqui il papa Francesco ha detto che il mondo è diretto verso il «suicidio» se non viene raggiunto un accordo sul clima. «L’Africa è una vittima» ha affermato. «L’Africa è stata sempre sfruttata da altri poteri … alcuni paesi vogliono solo le grandi risorse dell’Africa. … L’Africa è [un] martire dello sfruttamento nella storia».
Come risultato, l’Africa è «sprofondata nella povertà [e nella] ingiustizia sociale» ha detto. Questo deve cambiare.
Dunque, nell’opinione del Papa, che cosa è stato il principale colpevole di tale sfruttamento, dell’inquinamento e da altri misfatti? Il capitalismo ha aumentato la disuguaglianza e ha causato la distruzione dell’ambiente per «trarre profitto ad ogni costo» diceva agli inizi dell’anno papa Francesco alla folla. Il capitalismo è «lo sterco del demonio» ha detto.
Il Papa era solo una tra le potente forze presenti al vertice di Parigi.
Nel mondo hanno luogo diverse proteste sul cambiamento climatico. Tutte sono piene di oppositori del capitalismo, di socialisti e persino di attivisti apertamente comunisti. Queste persone non sono unicamente dei partecipanti, sono gli organizzatori delle proteste.
Ecosocialisti o ecocomunisti?
«A quanto pare, quello ch’è accaduto,» ha riferito il National Post, «è che l’estrema sinistra internazionale, decisamente sconfitta per il crollo dell’Unione Sovietica e del comunismo, si è unita al movimento ambientalista, dove ha usurpato le principali posizioni dal bird-watching, dalla raccolta di farfalle e dalle organizzazioni per la conservazione e così sta portando avanti la sua crociata anticapitalista e anarchica mascherata da Harmaghedon ecologico» (5 dicembre 2015).
«Un cambiamento del sistema, non un cambiamento climatico» è il messaggio di questo movimento. Questa è una chiamata alla rivoluzione. Molti di questi attivisti definiscono se stessi come «ecosocialisti» e, le loro pretese sono rivelatrici (palchetto a pg. 22).
Molte di queste richieste provengono dai più alti livelli del governo.
Considerate Van Jones, «consigliere speciale» del presidente Obama per i «lavori verdi». Egli era il volto del movimento responsabile per contribuire a creare più posti di lavoro ecologico o convertire i lavori che distruggono l’ambiente.
Questa è stata la sua agenda ufficiale.
Ma Jones aveva un programma non ufficiale molto diverso (in passato, poiché egli è stato costretto a dimettersi quando i suoi punti di vista radicali sono diventati pubblici). Jones ammette di essere un comunista. Egli promuove la giustizia sociale (servendosi del potere del governo per ridistribuire per mezzo della forza la ricchezza e dare privilegi speciali a gruppi minoritari per compensare le colpe del passato) e parla di ecoapartheid (come i bianchi ottengono tutti i benefici dell’energia verde).
Nel 2009 alla Conferenza giovanile sul cambiamento climatico Cambio di Potere, Jones ha detto che l’America ha bisogno di rinnovare completamente l’intera economia per creare giustizia per tutti. «[N]oi cambieremo tutto il sistema» ha dichiarato. «Vogliamo un sistema nuovo. … Cambieremo tutto.»
Per i politici attuali in Washington, la creazione di una nuova economia è molto più importante di porre fine al riscaldamento globale. Infatti, il riscaldamento globale ora conosciuto come cambiamento climatico è soltanto un catalizzatore. Il vero ordine del giorno include molto di più di questo.
L’agenda è stata parzialmente rivelata nel curriculum di Jones. Egli è uno dei membri fondatori di storm (Restiamo insieme per organizzare un movimento rivoluzionario), un’organizzazione marxista. In una delle sue pubblicazioni, storm ha confermato il suo obiettivo di proseguire «verso le tradizioni rivoluzionarie del comunismo del Terzo Mondo e di trovare modelli eccellenti e fonti d’ispirazione per un cambiamento rivoluzionario.»
Rivela molto il fatto che un uomo così radicale sia stato scelto personalmente dal presidente Obama per aiutare con l’economia verde dell’America. Egli è stato scelto per svolgere un lavoro che si adattava perfettamente al suo curriculum vitae. Questo lavoro era fare un cambiamento rivoluzionario.
Il cambiamento del sistema, non il cambiamento climatico
L’anno scorso al massiccio raduno presso il People’s Climate Rally a Oakland, in California, uno degli oratori più noti ha detto: «Noi affrontiamo un problema di sistema. Un conflitto tra due sistemi. In primo luogo, il sistema ambientale, che sostiene la vita sulla Terra. Poi, troviamo il sistema economico del capitalismo, che attacca la stabilità del nostro ambiente. Il capitalismo e un ambiente sano non possono coesistere! … [N]oi dobbiamo disgregare e trasformare il sistema capitalista. Ecco perché diciamo: “Il cambiamento del sistema, non il
cambiamento climatico”»!
Con queste parole, il coinvolgimento comunista nel movimento ambientalista diventa incredibilmente ovvio. In passato era un movimento che sosteneva che le aziende dovessero produrre meno inquinamento, ma è stato preso da persone che dicono che non ci dovrebbe essere nessuna organizzazione aziendale. Qualcuno però ha riconosciuto un valore prezioso nel movimento ambientalista: il potere. Il potere necessario per rovesciare l’intero sistema occidentale.
Secondo alcuni ambientalisti e persino molti dei principali capi dell’America, il sistema economico americano è radicato nel colonialismo e la schiavitù, dunque basato sullo sfruttamento. Per questo è necessario distruggerlo completamente prima che un nuovo sistema sia ricostruito.
È questo palese sentimento di opposizione al capitalismo e antiamericano del movimento sul cambiamento climatico, che ha portato le amministrazioni precedenti a rifiutare il protocollo di Kyoto e altri accordi ambientali.
L’America non ha nulla da guadagnare in queste trattative, salvo che voi pensiate che il suo sistema debba essere completamente abbattuto e cambiato radicalmente, che voi crediate che l’America sia una forza del male presente in questo mondo e definita dai sistemi di oppressione. Eccetto il caso che voi crediate che qualcosa di più collettivista e persino più autoritarismo sarebbero un miglioramento.
Dalla prospettiva dell’economica mondiale, il vertice di Parigi non produrrà vincitori, perché qualsiasi accordo comporterebbe una transizione da combustibili fossili a forme di energia verde più costose, meno affidabili, meno potenti. Il costo ammonterebbe a migliaia di miliardi. Inoltre non c’è alcuna garanzia che le riduzioni di energia saranno sufficienti, o che avranno alcun effetto sul clima. A questo bisogna aggiungere che le nazioni povere, dovranno purtroppo fare ricorso a prestiti di ingenti somme di denaro dalla Cina e da Occidente, allo scopo di costruire insostenibili progetti di energia verde. Di conseguenza, ancora una volta, le risorse dell’Africa e dell’America del Sud saranno sfruttate per pagare i loro debiti.
Tuttavia, ci saranno relativi vincitori e perdenti.
Vincitori e perdenti
Gli Stati Uniti sono una potenza economica ed energetica. Sono un leader mondiale per quanto riguardano le risorse di carbone, petrolio e gas naturale. Le fonti di energia sono così abbondanti che i costi si sono mantenuti bassi per parecchi decenni. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, dalla scorta mondiale di petrolio disponibile di 3 miliardi di barili, più di 2 miliardi si trovano negli Stati Uniti. Questa energia abbondante e poco costosa dà all’America un enorme vantaggio economico rispetto alle altre nazioni. Infatti, mantiene bassi i costi di riscaldamento e trasporto; alimenta l’industria e sovvenziona gli standard di vita. Forse altrettanto importante è che il costo di tutto questo petrolio, gas e carbone, rimane principalmente in territorio nazionale, in America, costruendo l’economia e creando posti di lavoro.
Dal punto di vista della concorrenza, limitare l’utilizzo di combustibili fossili ha poco senso per l’America. Per l’Europa, tuttavia, ciò potrebbe essere un grande vantaggio.
Ad una Europa di risorse limitate, i combustibili fossili sono costosi ed è un prodotto d’importazione, vale a dire che il denaro va ai sauditi o ai russi. Ecco perché, in parte, l’Europa si è mostrata generalmente più disposta ad abbracciare l’energia verde, nonostante sia più costosa e meno affidabile. Essa semplicemente passa da una fonte di energia ad alto costo ad un’altra fonte ad alto costo, con la sola eccezione che gli euro anziché andare alla Russia per pagare il gas, andranno in Germania o in Spagna per l’acquisto di turbine eoliche.
Le imprese europee stanno già pagando i prezzi elevati dell’energia. In Germania, ad esempio, i costi dell’energia elettrica triplicano quasi i costi pagati in America. Se l’America vuole volontariamente una condizione di svantaggio per sé, l’Europa ne ricaverebbe molto da una prospettiva di concorrenza economica.
Ma per quanto riguarda i cinesi? La Cina importa enormi quantità di combustibile fossile a prezzi molto più alti degli Stati Uniti. Come accade all’Europa, per loro non sarebbe un successo economico fare questo cambio. Per di più, la Cina è diventata il principale centro mondiale della produzione solare. Una riduzione della dipendenza dal carbone importato dall’Australia, ad esempio, porterebbe loro il vantaggio di spendere i soldi avanzati nella produzione nazionale di articoli funzionanti a energia solare. La Cina sta diventando leader anche nella produzione di turbine eoliche. Così si avvantaggerebbe persino questo settore.
In nessun modo però, la Cina sacrificherà la crescita economica al fine di ridurre le emissioni di carbonio, soprattutto se rischia di sollevare disordini sociali.
Parecchi milioni di persone in Cina non possono permettersi una energia elettrica più costosa e meno affidabile. Secondo il rapporto dell’Istituto per la Ricerca di Energia, la Cina attualmente sta costruendo una centrale elettrica a carbone ogni 7 a 10 giorni. È un ritmo sorprendente! Anche se ha rallentato la costruzione di questi impianti, adesso il suo utilizzo di carbone supera di quasi quattro volte il consumo degli Stati Uniti. L’economia cinese d’altronde ha drammaticamente rallentato negli ultimi mesi, dunque, un cambiamento non sarà facile.
Da un punto di vista economico (escluse le ipotetiche spese dei costi in caso di un peggioramento del clima), i colloqui di Parigi mancano di ragionevolezza per l’America; infatti, sono una proposta in cui non si può vincere. Ne perdono, sebbene molto meno, anche l’Europa e la Cina, i due concorrenti più grandi degli Stati Uniti. Per loro il campo di gioco economico sarà livellato dunque, da una prospettiva geopolitica, per loro c’è un lato positivo.
Tutti abbiamo bisogno di aria pura. L’inquinamento non è una buona cosa. L’America ha compiuto passi enormi nella tutela dell’ambiente. Se il movimento sul riscaldamento globale ossia, sul cambiamento climatico, avesse come unico scopo il trovare i modi di ridurre ed eliminare la contaminazione ambientale, quella sarebbe una nobile causa. Il capitalismo e la tutela dell’ambiente possono coesistere.
Ma il movimento è stato dirottato. Ora è condotto da attivisti, tra cui molti americani potenti che hanno soprattutto un obiettivo: abbattere il sistema americano. Si tratta di un’attività svoltasi dall’interno.
C’è un pericolo acuto nel movimento sul cambiamento climatico globale. Benché una volta questo movimento sia stato indirizzato verso il miglioramento dell’ambiente e, teoricamente, ad agire per impedire l’invasione delle coste dalle acque degli oceani, ora si è trasformato in qualcosa che cerca di capovolgere completamente il sistema economico mondiale. Esso inizia dall’America. ▪